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giovedì 5 gennaio 2012

Oncologia e parole



C'è un bel post nel blog di Stan Goldberg che s'intitola - Lei dice "io ho il cancro". Ed ora cosa dici? - ed è la fonte d'inspirazione di questo post.
Chi è Stan Goldberg? Si definisce "[...] un sopravvissuto al cancro, volontari ospizio (Home percorsi assistenziali e di Hospice, marito, padre, professore emerito alla San Francisco State University, edevoto del shakuhachi (flauto di bambù giapponese) e flauto nativo americano.". In qualità di volontario tiene corsi di coaching gratuitamente ed il suo blog riguarda il vivere, il prendersi cura (caregiving), il morire ed il recuperare la gioia.

Oggi è molto probabile incontrare qualcuno che ti dice "ho il cancro" e questa frase, la maggior parte delle volte, mette in difficoltà la persona che riceve la comunicazione e che non sa cosa rispondere o dire.


Questa situazione diventa sempre più frequente, in parte per l'aumento della patologia oncologica, ma anche per il progresso della medicina:  non solo è più frequente una diagnosi precoce, ma è anche migliorata la terapia e quindi si riesce a curare meglio ed a garantire una maggiore probbailità di sopravvivenza. Non sempre è possibile la guarigione, ma con una buona cura è possibile convivere con il cancro ed avere una buona qualità della vita. Quindi, aumentando la probabilità di sopravvivenza e avendo una buona gestione della patologia, diventa molto probabile che qualche persona che conosciamo durante la conversazione ci renda partecipi di questo evento e decida di condividere la propria esperienza con gli altri.

Ma gli altri come reagisco a questa comunicazione ed a questa condivisione della propria esperienza di avere un tumore?

Le reazioni sono svariate e vanno dalla paura, alla compassione, al desiderio di aiutare, di accudire, al senso di colpa, alla rabbia, ma anche il silenzio del non saper cosa dire. Le risposte più frequenti sono d'incoraggiamento "adesso la ricerca è vicina alla cura", di ottimismo "dai, vedrai che andrà tutto bene", oppure di compassione del tipo "mi dispiace tantissimo per quello che stai passando". Alla ricerca di parole giuste, che in realtà non esistono.

Stan Goldberg fa anche una riflessione sulla necessità di voler comunicare e condividere con le persone intorno che ha una malattia che mette a rischio la sua vita. Per lui è' un mix tra la consapevolezza di avere una malattia che mette a rischio la propria vita e che quindi potrebbe lasciare poco tempo per fare delle cose e il bisogno di compassione e di sentire gli altri vicino.

Il più delle volte le persone reagiscono in base alla loro percezione della malattia ed al significato che le attribuiscono, rispondendo più a se stesse che non alla persona che ha condiviso il proprio stato di salute e quello che sta passando in questo momento della sua vita.

Poi ci sono quelli che non sanno cosa rispondere e restano nel silenzio o cambiano argomento, ignorando la comunicazione e al tempo stesso la persona che comunica.

Stan Goldberg suggerisce che il modo per dire qualcosa dopo la frase "ho il cancro" è motrarsi vicino alla persona e chiederle cosa prova e cosa sente, permettendole di parlare della propria malattia e mostrando comprensione.
E Stan Goldberg conclude il post con queste parole

Quindi non preoccuparti per le parole giuste. Quando ti senti dire "Ho il cancro", immagina che sia tua madre a pronunciarle (e parla come se dovessi parlare a lei). E se ancora non riesci a immaginare come sarebbe sentirle, allora basta chiedere a noi. Non avremmo condiviso qualcosa di così personale, se non eravamo preparati a rispondere alla domanda: "Come ti senti a riguardo?"
  • articolo originale in inglese (link)

giovedì 25 novembre 2010

Convegno: “La psicotraumatologia oncologica”

Interessante convegno incentrato principalmente sulla tecnica dell'EMDR e sulla presentazione della Dott.ssa Liuva Capezzani riguardante sulla prima ricerca mondiale scientifica che viene svolta, proprio in Italia, su questa tecnica. L'obiettivo della ricerca è valutare se e quali effetti produce l'applicazione della tecnica dell'EMDR in pazienti oncologici che presentano i disturbi legati allo stress post-traumatico. 
I risultati scientifici ottenuti rappresentano un traguardo molto importante poichè, come ha ricordato il  Dott. Roger M. Solomon, la tecnica dell'EMDR è una tecnica "evidence based", cioè supportata dai risultati ottenuti, ma il cui meccanismo d'azione e la base teorica non sono ancora certi. 
Il Dott. Roger M. Solomon è uno dei più importanti formatori internazionali dell'Istituto EMDR. Il suo intervento è stato molto semplice dal punto di vista teorico, ma di enorme valore formativo perchè ha presentato dei video di sedute in cui la tecnica dell'EMDR viene utilizzata per l'elaborazione del lutto 
L'importanza della ricerca italiana è proprio legata al fatto che finalmente è iniziata una raccolta dati sugli effetti dell'attivazione delle aree cerebrali coinvolte prima e dopo l'applicazione della tecnica. L'intervento del Dott. Marco Pagani ha appunto illustrato i nuovi ed importanti elementi neurobiologici e fisiopatologici dell’EMDR. 

Personalmente ho trovato molto interessante l'intervento del Dott. Mario Valle. Un chirurgo che ha deciso di mettersi in gioco in prima persona e di andare ad esplorare aspetti traumatizzanti e difficoltà psicologiche della relazione paziente chirurgico e chirurgo. Un bell'intervento sentito e frutto della propria esperienza, molto realistico ed onesto che non ha mancato di evidenziare anche i difetti e le situazioni in cui il chirurgo manca di empatia nei confronti del paziente.  Molto simpatica la citazione del Dr. House "preferisce un medico che le tiene la mano mentre muore o uno che la ignora mentre la guarisce?". Però la difficoltà del chirurgo è proprio quella di riuscire ad essere "empatico e simpatico" in modo professionale, senza perdere quella necessaria capacità logica e di distacco per poter prendere decisioni difficili, ma fondamentali per la salute e per la qualità della vita del paziente.
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