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lunedì 20 maggio 2013

Nathan Never: entra lo psicologo

Nathan Never è un fumetto presente nelle edicole italiane da 264 mesi e nell'ultimo numero c'è un nuovo agente che viene arruolato: uno psicologo.

Nathan Never: i ricordi attraverso le fotografie
Ok, ma che c'entra questo con un blog sull'ipnosi?
In effetti con l'ipnosi non ha nulla a che fare dato che questo psicologo non usa la tecnica ipnotica! Almeno non adesso.

Mi è piaciuta la presentazione scritta da Luca Del Savio dell'Albo che s'intitola "Oscuri segreti".
"Come potete immaginare, dopo un evento sconvolgente, quale la Guerra dei Mondi, le cicatrici che rimangono non sono soltanto quelle visibili. Anzi spesso le più indelebili sono quelle che s'imprimono nella mente, piuttosto che nel corpo di chi è sopravvissuto. [...] E' così che nell'Agenzia Alfa fa il suo ingresso un nuovo personaggio. Non è un'uomo d'azione, bensì uno psicologo che ama  lavorare sulla propria poltrona: il dottor Julius Herschfeld.

Una parte del lavoro dello psicologo clinico è proprio quella di curare le ferite invisibili della mente. Il personaggio è realistico e descrive abbastanza bene quel che succede durante le sedute in cui si esplorano ricordi ed emozioni profonde che accompagnano il presente di ciascuno di noi. Il compito dell'immaginario dottor Herschfeld è quello di esplorare le emozioni e le sofferenze dei personaggi per aiutarli a comprendere meglio se stessi e per far vincere le paure. 
In rete ho trovato quest'immagine in cui si raffigura il personaggio principale della serie, Nathan Never, mentre è concentrato in viaggio nel passato attraverso le fotografie che evocano ricordi, angoscie, paure e crisi, una parte delle quali sono normali e sono quella caratteristica che ci rendono umani ed emotivamente vivi.

giovedì 5 gennaio 2012

Oncologia e parole



C'è un bel post nel blog di Stan Goldberg che s'intitola - Lei dice "io ho il cancro". Ed ora cosa dici? - ed è la fonte d'inspirazione di questo post.
Chi è Stan Goldberg? Si definisce "[...] un sopravvissuto al cancro, volontari ospizio (Home percorsi assistenziali e di Hospice, marito, padre, professore emerito alla San Francisco State University, edevoto del shakuhachi (flauto di bambù giapponese) e flauto nativo americano.". In qualità di volontario tiene corsi di coaching gratuitamente ed il suo blog riguarda il vivere, il prendersi cura (caregiving), il morire ed il recuperare la gioia.

Oggi è molto probabile incontrare qualcuno che ti dice "ho il cancro" e questa frase, la maggior parte delle volte, mette in difficoltà la persona che riceve la comunicazione e che non sa cosa rispondere o dire.


Questa situazione diventa sempre più frequente, in parte per l'aumento della patologia oncologica, ma anche per il progresso della medicina:  non solo è più frequente una diagnosi precoce, ma è anche migliorata la terapia e quindi si riesce a curare meglio ed a garantire una maggiore probbailità di sopravvivenza. Non sempre è possibile la guarigione, ma con una buona cura è possibile convivere con il cancro ed avere una buona qualità della vita. Quindi, aumentando la probabilità di sopravvivenza e avendo una buona gestione della patologia, diventa molto probabile che qualche persona che conosciamo durante la conversazione ci renda partecipi di questo evento e decida di condividere la propria esperienza con gli altri.

Ma gli altri come reagisco a questa comunicazione ed a questa condivisione della propria esperienza di avere un tumore?

Le reazioni sono svariate e vanno dalla paura, alla compassione, al desiderio di aiutare, di accudire, al senso di colpa, alla rabbia, ma anche il silenzio del non saper cosa dire. Le risposte più frequenti sono d'incoraggiamento "adesso la ricerca è vicina alla cura", di ottimismo "dai, vedrai che andrà tutto bene", oppure di compassione del tipo "mi dispiace tantissimo per quello che stai passando". Alla ricerca di parole giuste, che in realtà non esistono.

Stan Goldberg fa anche una riflessione sulla necessità di voler comunicare e condividere con le persone intorno che ha una malattia che mette a rischio la sua vita. Per lui è' un mix tra la consapevolezza di avere una malattia che mette a rischio la propria vita e che quindi potrebbe lasciare poco tempo per fare delle cose e il bisogno di compassione e di sentire gli altri vicino.

Il più delle volte le persone reagiscono in base alla loro percezione della malattia ed al significato che le attribuiscono, rispondendo più a se stesse che non alla persona che ha condiviso il proprio stato di salute e quello che sta passando in questo momento della sua vita.

Poi ci sono quelli che non sanno cosa rispondere e restano nel silenzio o cambiano argomento, ignorando la comunicazione e al tempo stesso la persona che comunica.

Stan Goldberg suggerisce che il modo per dire qualcosa dopo la frase "ho il cancro" è motrarsi vicino alla persona e chiederle cosa prova e cosa sente, permettendole di parlare della propria malattia e mostrando comprensione.
E Stan Goldberg conclude il post con queste parole

Quindi non preoccuparti per le parole giuste. Quando ti senti dire "Ho il cancro", immagina che sia tua madre a pronunciarle (e parla come se dovessi parlare a lei). E se ancora non riesci a immaginare come sarebbe sentirle, allora basta chiedere a noi. Non avremmo condiviso qualcosa di così personale, se non eravamo preparati a rispondere alla domanda: "Come ti senti a riguardo?"
  • articolo originale in inglese (link)